lunedì 11 marzo 2013
Intervista a Diego Cajelli
Intervista di Francesca Esposito.
Versione "estesa" del pezzo pubblicato su Lettera 43, che potete leggere cliccando qui.
Come è nato il progetto, ovvero qual è il casus belli, se lo possiamo chiamare così?
Long Wei nasce da un’idea di Enzo Marino e Roberto Recchioni. Volevano mettere in cantiere una nuova serie a fumetti ambientata in Italia, con un immigrato come protagonista.
Questo è lo spunto che mi è stato chiesto di sviluppare e realizzare.
Sono stato segnalato come “la persona più adatta” per realizzare il progetto. Ho sempre ambientato a Milano i miei lavori più personali, come la serie: Milano Criminale o Mambo Italiano. In più sono esperto di arti marziali, scrivo principalmente gialli e noir, e sono nato in via Paolo Lomazzo, nel cuore della chinatown milanese, insomma, era proprio pane per i miei denti.
Quindi, ho elaborato un giallo metropolitano e ho raccolto uno staff di collaboratori capaci.
L’editore ha approvato l’idea e siamo partiti in quarta.
Parliamo dell'eroe: vita, morte e miracoli.
Long Wei è un ragazzo sulla trentina. Si è allenato tantissimo per diventare una super star del cinema action cinese. Il suo scopo era quello di diventare il nuovo Jet Li. Non c’è riuscito. Ha fatto la comparsa, l’attore di secondo piano, ma il successo per lui non è mai arrivato.
Si è ridotto a fare la guardia in una fabbrica a Shenzhen, piegato dal peso della delusione e del fallimento.
Suo zio lo invita in Italia perchè ha bisogno di aiuto, il suo ristorante non va tanto bene, e gli serve una mano. Long Wei parte, con l’intenzione di ricominciare da zero e rifarsi una vita.
A Milano, scoprirà che la sua grande preparazione nel kung fu, inutile per sfondare nel mondo del cinema, gli sarà essenziale nella vita reale.
Una serie di eventi lo porterà a diventare, suo malgrado, l’eroe di un intero quartiere.
Umorismo quanto basta? Fammi capire in quali dosi.
Personaggi e vicende sono raccontati con l’ironia tipica delle pellicole d’azione.
Humor nero, battute, situazioni esagerate. Un paragone potrebbe essere con il cinema di Guy Ritchie. C’è quel tipo di umorismo che si è visto in The Snatch. Poi, ovviamente, quando la situazione lo richiede, le atmosfere diventano drammatiche.
Lo sfondo è rappresentato dai grattacieli Expo, si sente la criminalità organizzata?
Sì. Un esempio? Nel numero due, i rampolli di un clan mafioso subiscono uno sgarro in discoteca da parte di una gang di ragazzi cinesi.
Toccherà a Long Wei sistemare le cose.
Come diceva Sun Tzu nell'arte della guerra, bisogna per prima cosa conoscere il campo di battaglia. Quindi che avete fatto, vi siete stati appostati in Paolo Sarpi per 6 mesi?
Più o meno sì. Anche per riuscire a stare dietro il cambiamento della skyline milanese.
Abbiamo fatto tanti sopralluoghi, per studiare le location, scattando un migliaio di fotografie da usare come documentazione visiva.
Poi, abbiamo osservato la realtà che ci circondava, drizzato le orecchie e tenuto d’occhio la cronaca cittadina.
A parte gli scherzi, come è avvenuta la documentazione?
Al lavoro ci sono otto disegnatori diversi di diverse parti d’Italia. Abbiamo creato una cartella comune, condivisa in rete, dove tutti hanno a disposizione la stessa documentazione.
La ricerca è stata lunga e laboriosa. Per farti un esempio, ci sono fotografie esemplificative per ogni stile di kung fu, e tutta l’area di via Paolo Sarpi è stata fotografata e suddivisa per vie.
Quindi, la documentazione è partita dal reale, dal vero, da quello che puoi vedere scendendo in strada. Partiamo dal mondo reale per andare nel mondo della fiction.
Miti da sfatare e luoghi comuni da confermare sui cinesi?
Un aneddoto. Per capire, per scrivere in modo corretto come funzionano le cose in un ristorante cinese, ho imparato a cucinare cinese.
Sono andato a fare la spesa in un supermercato etnico. Di fronte agli scaffali pieni di prodotti ero un po’ spaesato. Si è avvicinato un commesso cinese e mi ha chiesto se avevo bisogno di aiuto. Gli ho detto che stavo imparando a cucinare la loro cucina e lui si è messo a raccontarmi tutto, a spiegarmi quale prodotto usare e quale no, elencandomi le differenze e le tipologie dei diversi alimenti.
Secondo te se un cinese entra in una salumeria dicendo che sta imparando a cucinare le lasagne, come verrà trattato?
Quali le resistenze e quali le difficoltà nello scrivere una storia come questa?
Non siamo abituati, come pubblico, come lettori di fumetti, ad accettare l’ambientazione italiana nelle storie che leggiamo.
Questa è la difficoltà più grande. Far passare il concetto che Milano, da un punto di vista narrativo, non ha nulla in meno rispetto a New York.
Si tratta di un fumetto nuovo nel suo genere: kung fu con umorismo in una città multietnica. Potresti farmi un Long Wei manifesto?
Long Wei è un fumetto in bilico tra il serissimo e il grottesco, tra il noir e la commedia. Si mantiene in equilibrio, cercando di portare avanti la narrazione in un modo non consueto. Ci siamo presi tante libertà espressive da un punto di vista tecnico. Cerchiamo di uscire dalle righe, di raccontare cose diverse in modo diverso.
Ne siamo convinti. Tanto. Poi magari ne siamo convinti soltanto noi e il fumetto non piacerà a nessuno, pazienza.
Long Wei esce con i figli della seconda generazione cinese. È un po' tardi oppure bisognava che i tempi per capire fossero maturi?
Il nostro pubblico sono anche i ragazzi della seconda generazione, ma non soltanto loro.
Long Wei si rivolge a tutti, loro compresi. Ecco, forse è questa la cosa diversa. Forse prima nessuno aveva guardato verso di loro proponendogli qualcosa.
I cinesi sono sempre stati considerati come un popolo molto chiuso, incapace ad aprirsi, pensi che questo mezzo di informazione possa fare da ponte fra due popoli nella Milano multietnica? (La domanda sulla pace nel mondo te la risparmio)
Può darsi, la nostra intenzione è quella di raccontare una buona storia. Se per una serie di coincidenze diventa anche un ponte tra due culture noi ne saremo contenti. Di base però, non partiamo con quel tipo di obiettivo. Non spetta a noi, non è quello il compito che deve avere un prodotto di finzione.
Ci sarà una doppia versione italo cinese, oppure ho capito male?
Soltanto le copertine saranno bilingue. La testata e titolo dell’episodio saranno sia in italiano che in cinese.
Vi siete avvalsi dell'aiuto dell'Associazione Italia Cina, in questo modo il fumetto si dimostra sempre più un mezzo di informazione potente. Che dici?
Il fumetto ha dalla sua parte quello che gli altri mezzi di comunicazione hanno quasi perso del tutto: l’immediatezza e l’assenza di intermediari.
Il fumetto è un linguaggio diretto, estremamente complesso nella sua apparente semplicità.
E poi con Long Wei, in un certo senso, tornano i conti: il primo fumetto della storia? Yellow Kid, un ragazzino cinese nella New York multietnica della fine dell ‘800.
Quanto costerà?
3 euro. 100 pagine, bianco e nero, mensile.
Perchè un/una cinese di Milano dovrebbe comprare Long Wei?
Immagina di vivere a New York e di leggere Spider-Man. Apri le finestre e vedi il teatro in cui si svolgono gli eventi del tuo personaggio preferito.
Long Wei fa la stessa identica cosa con Milano. È un fumetto collocato nel reale, nella tua città, oggi. La contemporaneità è uno degli elementi portanti del fumetto.
Dovresti leggerlo perchè racconta una realtà che ti può essere vicina.
È un eroe di strada, un eroe di quartiere che affronta piccoli problemi di tutti i giorni e avventure più complicate. In più, è veramente un bel ragazzo. E questo aiuta con il pubblico femminile.
Perché un/una italiano dovrebbe leggerlo?
Per gli stessi, identici, motivi elencati qui sopra. Non c’è differenza.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Ehm... Yellow Kid non è un ragazzino cinese, è solo vestito di giallo.
RispondiEliminaIl suo nome è Mickey Dugan.
http://en.wikipedia.org/wiki/Yellow_kid
Sì, Wiki dice così.
RispondiEliminaAltri testi dicono che era figlio di un immigrato cinese.
Comunque sia, non penso che sia la cosa più importante dell'intervista. Poi, come è giusto che sia, ognuno sottolinea quello che vuole, eh!
Grazie per la consulenza.
Ovvio, non t'incazzà. :)
RispondiEliminaSe non avessi puntualizzato io l'avrebbe fatto qualcun altro (il mondo è pieno di precisini della fungia: escono dalle fottute pareti!) ^^